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LA RUBRICA DELL’AAVVOCATO

La rubrica dell’avvocato a cura dell’ Avv. Claudio Calvello Patrocinante in Cassazione

CALVELLO

Affido esclusivo alla madre se il figlio dichiara di non voler stare con il padre. 

No quindi alla bigenitorialità per una tredicenne che non ha mai frequentato assiduamente il padre. Le dichiarazioni dei minori nell’ambito del giudizio di separazione o divorzio acquistano un peso sempre maggiore. Dev’essere infatti affidata esclusivamente alla madre la ragazzina (tredicenne), che dichiara di non aver mai frequentato il padre con assiduità, di non conoscerlo bene e quindi di non volerci stare. A questa severa conclusione, senz’altro destinata a far discutere, è giunta la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 18734 del 27 luglio 2017, che ha respinto il ricorso di un uomo che si opponeva all’affidamento esclusivo della figlia adolescente alla madre. Sul punto gli Ermellini hanno infatti motivato — sopr

attutto alla stregua delle dichiarazioni della minore e, in via residuale, sulla base della assenza di rapporti padre-figlia — che l’affido condiviso potesse arrecare pregiudizio all’interesse della minore stessa, tenuto conto anche della sua età e capacità di discernimento. Tali due elementi sono stati ritenuti assorbenti rispetto alle capacità genitoriali del ricorrente, peraltro non messe in dubbio dal regime dell’affidamento disposto, in quanto non limitativo della titolarità della responsabilità genitoriale. Quindi: affido condiviso si, MA convivenza con un solo genitore.

Padre diminuisce la “paghetta” e la figlia maggiorenne (di ben 26 anni) vince la causa: riconosciuta la “inerzia nella maturazione”.

Argomenta in proposito la Corte d’appello di Trieste: “pur a fronte di un non efficace impegno di (…) nello studio e nel lavoro, dato certo e sicuro che non le rende certo onore e che ella dovrà impegnarsi a superare, è anche vero che nell’attuale momento economico … si deve riconoscere, in generale, la possibilità di una certa inerzia nella maturazione che porta all’indipendenza dei giovani ragazzi, ciò che certo deve riconoscersi anche in questo caso, attesa l’età (ventisei anni) della ragazza”. Ed ancora: “pur convinta delle buone ragioni del padre nella vicenda che ci occupa, la Corte rileva che i criteri adottati in giurisprudenza si sono man mano ‘elasticizzati’ nell’indicazione del limite di età adottato come discrimine per ritenere, in ogni caso ed a prescindere da ogni valutazione, superata la fase di ‘tutela’ del figlio, tanto che la giurisprudenza di merito milanese ha fissato in 34 anni detto limite”. Morale della favola caro genitore: paga, paga e paga!!! È una decisione questa che lascia a dir poco perplessi. Invece di prendere in considerazione solo l’età del figlio che pretende ancora il mantenimento, andrebbe piuttosto accertato caso per caso se possa rinvenirsi o meno un’inerzia colpevole del figlio maggiorenne tale da tradursi in “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass., n. 12477/2004; Cass., n. 4108/1993). Con queste sentenza, in sostanza, si dà sempre più man forte ai fannulloni e si giustifica una sorta di inerzia dei giovani nell’emancipazione economica.

La diffusione di foto osè è condotta idonea a creare “nocumento” alla vita sessuale della coppia

In tema di reati a tutela della privacy, in relazione al reato previsto dall’art. 167, comma 2, del d.lgs. 30 giugno 2003 (trattamento illecito di dati personali) il “nocumento” cui si riferisce la fattispecie penale incriminatrice, indipendentemente dalla sua qualificazione in termini di condizione obiettiva di punibilità ovvero di elemento costitutivo del reato, deve essere inteso come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subìto dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti. (Cassazione penale, sezione III, sentenza 14 giugno 2017, n. 29549)