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La rubrica dell’avvocato

La rubrica dell’avvocatoa cura dell’ Avv. Claudio Calvello
(Patrocinante in Cassazione – DPO e membro di Federprivacy)

DIPENDENTE IN MALATTIA?  Ok all’investigatore privato.calvello 147

Stiano molto attenti quei lavoratori dipendenti che approfittano dei giorni di malattia rilasciati dal Pronto Soccorso per non recarsi al proprio posto di lavoro. Con l’ordinanza n. 11697/2020 la Cassazione, nel respingere il ricorso di un dipendente licenziato, ribadisce il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare se la malattia esiste davvero o se, in ogni caso, le sue condizioni non sono effettivamente compatibili con l’ambiente di lavoro. Il dipendente infatti aveva lamentato un trauma contusivo a causa di una caduta dallo scooter procuratosi mentre si allontanava da un cantiere, certificata dal pronto soccorso, che prescriveva assoluto riposo per qualche giorno, con tanto di trasmissione degli atti all’Inail. Peccato, tuttavia, che l’investigatore incaricato lo avesse poi sorpreso pedalare ore e ore e a camminare con il figlio sulle spalle nel centro cittadino. Secondo la Cassazione a giustificare il controllo del datore è sufficiente il sospetto che “il mancato svolgimento dell’attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito” o che vi sia il solo sospetto o la mera ipotesi che un illecito sia in corso di esecuzione. Al datore è, infatti, riconosciuto il diritto di procedere “al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificarne l’assenza.”

CONVIVENZA DI FATTO E FINE DELL’AMOREscattano le restituzioni!

Spesso durante la convivenza quando “le cose vanno bene” capita sovente che un partner faccia importanti elargizioni di denaro all’altro o esegua in suo favore trasferimenti immobiliari, il tutto in cambio “dell’amore vero”. Ebbene con la sentenza n. 11303/2020 la Cassazione coglie l’occasione per ribadire il principio secondo cui il convivente che, durante la relazione di fatto, accetta somme sproporzionate e non adeguate alle condizioni della famiglia di fatto, integra con la sua condotta la fattispecie dell’ingiustificato arricchimento. Già la Corte d’Appello aveva appurato che gli importi elargiti dalla ex convivente al ricorrente superavano i 50.000 euro, per cui nel ritenere integrata la fattispecie dell’ingiustificato arricchimento essa non ha fatto che seguire il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa (…). È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.”