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La rubrica dell’avvocato

La rubrica dell’avvocatoa cura dell’ Avv. Claudio Calvello
(Patrocinante in Cassazione – DPO e membro di Federprivacy)CALVELLO 148 web

LAVORO: telecamere nascoste e tutela della privacy

Diciamolo subito: la videosorveglianza occulta è lecita solo quando diventa l’extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Non può, dunque, diventare una prassi ordinaria. È la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) a suggellare questo principio: un datore di lavoro può installare delle telecamere nascoste per la videosorveglianza senza avvertire i propri dipendenti qualora abbia il fondato sospetto che questi lo stiano derubando e se le perdite subite per la loro condotta sono ingenti. Secondo i Giudici della Corte Europea il comportamento del proprietario di un supermercato può essere considerato legittimo e non vìola il diritto alla privacy di alcuni addetti alle casse, licenziati dopo essere stati filmati mentre rubavano prodotti sul luogo di lavoro o aiutavano altri a farlo. Nel caso specifico il direttore di un supermercato, rilevando irregolarità tra stock di magazzino e vendite e una rilevante perdita negli incassi decise di far installare alcune telecamere a circuito chiuso. Le videoriprese evidenziarono una serie di furti di merci da parte del personale che portarono a 14 lettere di licenziamento per motivi disciplinari tra cassieri o addetti alle vendite. La linea della Cedu è condivisa anche dal Garante italiano della Privacy, che in una nota sottolinea come la sentenza «da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo». Per il via libera alla videosorveglianza “segreta” la Corte di Strasburgo ha infatti accertato una serie di presupposti, come i «fondati e ragionevoli sospetti» sui furti commessi dai lavoratori, il danno ingente subito dal datore di lavoro. In conclusione, il «requisito essenziale» perché i controlli sul lavoro siano legittimi, «resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza», che si confermano ancora una volta i capisaldi della protezione dei dati personali.

Mod. 231: il ruolo dell’OdV dopo il GDPR

 

Il Garante per la Privacy ha precisato che gli Organismi di Vigilanza (OdV) non possono essere qualificati come titolari autonomi o come responsabili del trattamento in quanto i loro compiti non sono determinati dagli Organismi stessi, ma dall’organo dirigente dell’ente che, nell’ambito del modello di gestione e organizzazione, ne definisce gli aspetti relativi al funzionamento. Inoltre, l’OdV non può essere considerato neppure quale responsabile del trattamento, inteso come persona giuridicamente distinta dal titolare. Il GDPR prevede, infatti, una serie di obblighi in capo al responsabile del trattamento, come pure la sua diretta responsabilità per l’eventuale inosservanza degli stessi. Al contrario, eventuali omessi controlli sull’osservanza dei modelli predisposti dall’ente non ricadono sull’OdV ma sull’ente stesso. L’OdV nel suo complesso non è quindi distinto dall’ente ma è “parte dell’ente”. In particolare, l’ente designerà i singoli membri dell’OdV come soggetti autorizzati, i quali dovranno attenersi alle istruzioni del titolare.