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La rubrica dell’avvocato

La rubrica dell’avvocatoa cura dell’ Avv. Claudio Calvello
(Patrocinante in Cassazione – DPO e membro di Federprivacy)

Le c.d. “FERIE FORZATE”: il datore di lavoro le può imporre?CALVELLO DI LAURO

Le ferie sono un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione all’art. 36; sono irrinunciabili e non monetizzabili, se non alla conclusione del rapporto del lavoro, e la funzione delle ferie è quella di assicurare il recupero delle energie psicofisiche del lavoratore. In base a questo, ogni lavoratore ha diritto a un periodo minimo di quattro settimane di ferie ogni anno di lavoro, da godere continuativamente per almeno due settimane, come previsto dall’art. 10 del d.lgs. 66/2003. Le ferie devono essere concordate tra il datore di lavoro e il lavoratore, anche se, secondo le previsioni dell’art. 2109 Codice Civile, l’ultima parola spetta comunque al datore di lavoro che, in ogni caso, non può vietare la fruizione delle ferie, ma può solo richiedere una modifica del periodo di fruizione delle stesse. Il datore di lavoro è obbligato a comunicare preventivamente al lavoratore, anche in caso di mancato accordo, le ferie assegnate; tale obbligo è funzionale a garantire al lavoratore la giusta organizzazione della sua vita privata, potendo scegliere se fruire delle ferie nel periodo assegnato o chiederne lo spostamento, sempre, tuttavia, da concordare con il datore di lavoro. In questo contesto è pertanto illegittima la pratica, delle cosiddette “ferie forzate”, ovverosia l’imposizione unilaterale del periodo di fruizione delle ferie da parte del datore di lavoro verso il suo dipendente. In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24977/2022, che ha confermato la correttezza dei Giudici di merito i quali, accertato che le modalità di concessione delle ferie in concreto adottate avevano precluso una effettiva programmazione delle ferie e determinato “l’impossibilità di un effettivo ristoro delle energie psicofisiche”, hanno ritenuto di condannare il datore di lavoro a riattribuire interamente il monte ore ferie decurtato a ciascun lavoratore.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO per il figlio maggiorenne: come funziona?

Il tempo passa ed i figli diventano maggiorenni e magari lasciano pure la casa familiare per andare a studiare in un’altra città. Il genitore onerato di versare l’assegno di mantenimento come deve comportarsi? Deve continuare a pagare? Può pagare meno? Se richiesto deve contribuire maggiormente? E l’eventuale aumento del mantenimento può chiederlo il genitore collocatario o deve richiederlo il figlio oramai divenuto maggiorenne? Ebbene, la Cassazione ha fornito il seguente chiarimento: “in materia di separazione dei coniugi, la legittimazione “iure proprio” del genitore a richiedere l’aumento dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand’anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio”. Resta fermo il punto secondo cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. È il cosiddetto principio di proporzionalità da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio, 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza, 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore, 4) le risorse economiche di entrambi i genitori, 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Il giudice, valutate tutte queste circostanze, potrà disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. I genitori avranno comunque il diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, nonché delle disposizioni relative alla misura ed alla modalità del contributo.