L’esilio di Luca Claudio: “Ho pianto solo per i miei figli”

Intervista all’ex sindaco a Porto Levante: “Mi hanno isolato perchè adesso i partiti mi temono” 

IL MATTINO DI PADOVA 4 marzo 2017
di Enrico Ferro inviato a Porto Levante

PORTO LEVANTE. Un appartamento di 40 metri quadrati ricavato all’ultimo piano di un residence nato dalla spinta di un turismo che non c’è più. All’orizzonte non ci sono i tetti degli alberghi extra-lusso con l’acqua termale ma i pennoni delle barche a vela. Il mare davanti. E la laguna dietro.

Poi il nulla a perdita d’occhio.

«Questo è esilio. Mi vogliono tenere in esilio fino alla presentazione delle liste. Mi temono perché io ho dimostrato che si può vincere anche senza nessuno alle spalle».

Luca Claudio, l’ex sindaco di Abano, ora vive qui, in questa lingua di terra strappata al mare sul Delta del Po. Il complesso residenziale “Le Bitte” di Porto Levante è la “cella” in cui dovrà scontare la detenzione domiciliare. C’è la piscina ma la vasca scrostata contiene solo acqua verdognola. Gli appartamenti sono disposti ad alveare: piano terra, primo e secondo piano. Uno in fila all’altro. La decadenza viene esaltata dalla regolarità della costruzione e così anche l’intonaco bianco annerito dal tempo sembra quasi togliere il respiro.

Per ritrovare aria bisogna necessariamente alzare la visuale sulla darsena, dove le barche sono ormeggiate in attesa di mesi più caldi. Da qui la Croazia è raggiungibile con un paio d’ore di navigazione.

 

La struttura è stata concepita negli anni del boom economico, forse sperando in uno sviluppo del turismo nel Delta. Oggi all’ingresso del residence “Le Bitte” le etichette bianche sul pannello del citofono sono numerose. Una è stata sistemata in fretta e furia con un pezzo di nastro adesivo da pacchi marrone. Sopra c’è un nome scritto con la penna biro. Quel nome è Luca ed è seguito da un cognome: Claudio. L’ex sindaco prodigio, arrestato 48 ore dopo la sua rielezione, giovedì ha trascorso la prima notte fuori dal carcere e l’ha passata chiacchierando con il fratello Marco. Hanno bevuto prosecco e mangiato taralli. Hanno parlato fino all’alba. Uno scampolo di vita normale dopo 252 giorni nell’inferno della galera.

Lei dice che la temono. Per quale motivo dovrebbero temerla?

«Perché sono stato eletto quattro volte consecutive, unico in Italia. Ho vinto con il popolo, senza i partiti. Ero io e basta. Sono stati tutti spiazzati. Ero diventato l’esempio che si può fare strada anche senza avere alle spalle poteri forti e politica».

La descrive come fosse una congiura. Ma ordita da chi?

«Facendo del male a me non fanno male a nessun altro. Guardi com’è finita con Alemanno, o con Marino, o con Galan? Nessuno ha vissuto quello che sto vivendo io. Il sistema non lo cambi. Io ci ho provato. Ero l’unico che all’opposizione aveva tutti: Lega, Forza Italia, le sinistre. In questo modo mi hanno dimostrato che da solo non si va da nessuna parte».

Qualche errore l’avrà pur commesso?

«Il mio unico errore è stata la presunzione di pensare che ce l’avrei fatta anche da solo. Col cavolo! Mi hanno distrutto. Io avevo dalla mia il popolo ma il popolo ha aspettato il Messia, lo ha ammazzato e poi lo ha fatto santo».

Le contestano di aver creato un sistema a base di tangenti nell’area dove ha amministrato per un decennio.

«Nessuno ha fatto carcere per questo. Galan ha scontato qualcosa più di tre settimane. E parliamo del Mose, che ora rischia pure la prescrizione. A me hanno notificato un arresto il 24 dicembre. E ad aprile prossimo vado a processo. Come si fa a non notare queste differenze?».

Però c’è un’indagine della Guardia di finanza che delinea una realtà ben precisa tra Abano e Montegrotto.

«Io sono innocente, non c’entro. Non ho fatto quello che dicono. Ma devo dimostrarlo. Bastano tre persone che dicono “sei un ladro” e diventi un ladro. Quando una cosa è costruita come fai a difenderti? Ti chiedono dov’eri nel 2008, non lo ricordi e diventa una prova contro».

Dunque sarebbe tutto inventato?

«Non c’è un solo passaggio in cui si prova che io abbia preso dei soldi. Tutto ruota attorno al fatto che una persona dice: “Ho intascato denaro ma doveva essere per Luca Claudio”.

Sta preparando un grande ritorno?

«Non nutro un sentimento di odio e nemmeno di rivalsa. La mia unica arma sarà la verità. Io credevo nelle istituzioni, nel cambiamento. Io ho indossato la fascia tricolore».

Quindi difende il suo operato?

«Con me Abano era tornata in auge. Invece ora c’è stato un Natale tristissimo, il Carnevale pure. Abano e Montegrotto, al momento, sono morti. Io ho dimostrato che le cose si potevano fare anche senza amici onorevoli».

Ritiene che la città che amministrava sia cambiata in questi mesi?

«Ho sempre fatto il bene della mia città. Ha visto la storia dei profughi al Primo Roc? Con me sindaco non potevano nemmeno abbozzarlo un ragionamento del genere. Li avrei subito mandati a quel paese».

Questi sembrano i ragionamenti di una persona che sta aspettando il momento giusto per tornare alla politica.

«No, basta politica. Voglio solo ripartire, riavere i miei figli, la mia famiglia. Una vita tranquilla, normale. Il carcere è un’esperienza devastante».

Ecco, ci parli dei suoi 252 giorni al Due Palazzi.

«Ero in cella con delinquenti di tutti i tipi: 30 metri quadrati in sette. Tunisini, marocchini albanesi, moldavi. È allucinante. Devi stare lì, concentrato. Passi il tempo a sperare di sopravvivere».

Ha fatto amicizia con qualcuno?

«Io cercavo di rimanere sempre nel metro quadrato che mi ero ricavato all’interno della cella. Raramente uscivo. Avete scritto persino che giocavo a calcio con Freddy Sorgato, quando in realtà l’ho visto sì e no tre volte».

Indossa una collana a rosario in plastica azzurra. L’ha messa mentre si trovava dietro le sbarre?

«È il regalo di un detenuto, uno con cui avevo legato».

Sul dorso della mano, tra il tatuaggio della stella e quello dell’occhio di Horus (simbolo di prosperità nella religione egizia), lei ha una grossa bruciatura. Cosa le è successo?

«Storie di carcere ma ora non mi va di parlarne. Non ne ho voluto parlare nemmeno con mio fratello».

Qual è l’aspetto più difficile della vita in carcere?

«Il tempo che non passa mai, le sofferenze che hai davanti agli occhi. Tutti che parlano solo di rapine, di omicidi, di droga. Un sistema che non si può capire se non lo si vive. Un piccolo esempio: le pulizie sono affidate a turno ai detenuti e quindi vige sempre la legge del più forte. C’è stato un momento in cui avevo smesso di mangiare, poi però mi sono convinto ad andare avanti. A non arrendermi».

Adesso però è finita, lei è di nuovo fuori. Non completamente libero ma fuori.

«L’ultimo danno nei miei confronti è questo: l’esilio. Uscire dal carcere e non potere nemmeno andare dai miei figli».

Già, i suoi figli.

«Hanno 16, 15 e 8 anni. Vivono a Montegrotto. In questi mesi sono stati attaccati e presi in giro dai compagni di classe. Come lo chiamate voi? Bullismo, vero?».

Perché Porto Levante? Non poteva andare bene anche Sottomarina?

«Evidentemente Sottomarina era troppo vicina. Mi volevano mandare lontano e hanno scelto questo nulla».

Però c’è il mare, la laguna. Tutto sommato ha un suo fascino.

«Ma si è guardato un po’ intorno? Si rende conto che i miei familiari per venire a trovarmi devono percorrere più di 70 chilometri?».

Quanto è grande il suo appartamento?

«È un mini, credo 40 o 50 metri quadrati. Ma non mi interessa, rispetto alla galera mi sembra una reggia».

Nella sua prima notte, dunque, non ha dormito granché.

«Io e mio fratello siamo stati insieme tutta la notte. Abbiamo mangiato quel poco che c’era, abbiamo fatto fuori una bottiglia di vino in due. C’era anche qualche goccio di Campari, a dire il vero. Non era tempo per dormire».

Di cosa avete parlato?

«Di tutto tranne che di carcere. Per quello non sono ancora pronto».

Manca la domanda più banale: come si sente?

«Male, per me è stato un fallimento. Ripeto, io ho indossato una fascia tricolore per anni. Rappresentavo le istituzioni e ora mi sono ridotto a questo. Avete scritto di tutto su di me e io lo capisco ma voi dovete capire me. Questa è pur sempre la mia vita».